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Daurija Campana, Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato, Guido Miano Editore, Milano 2024 – Recensione di Enzo Concardi

Comunicato Stampa

Abbiamo avuto – lo staff Miano e chi scrive – l’occasione di conoscere Daurija Campana e la sua famiglia nella città di Cesena, luogo di residenza, presentando davanti a un folto pubblico, la raccolta precedente dal titolo: Sola tra memoria e dolore, della Casa Editrice milanese Guido Miano, per la quale stesi il saggio introduttivo. Fu un’accoglienza squisita, da cui è nato un rapporto fiduciario che ha generato la nascita e la pubblicazione dell’opera Qualcosa di nuovo (settembre 2024), appartenente alla collana “Parallelismo delle Arti”: l’autrice infatti è poetessa e pittrice e dunque il libro – che reca la prefazione di Michele Miano – si caratterizza per il connubio tra poesie e dipinti, essendo le diverse forme artistiche espressione di un’unica anima creatrice, di una sola sensibilità spirituale. Parole e colori s’incontrano e dialogano in qualunque caso, frutto di una felice istintività, o di un complesso e tormentato percorso interiore.

Mi soffermerò qui soprattutto sulla parte letteraria della pubblicazione, più consona alle mie competenze critiche, mentre esprimerò emozioni ed impressioni riguardo ai quadri inseriti in essa. I testi poetici di Daurija Campana penetrano in alcune dimensioni fondamentali dell’esistenza umana, toccano l’essenza delle cose e nascono da una sofferta elaborazione di eventi del passato per nulla cancellati, anzi dei quali ella vuole conservare memoria perenne. Vi sono, in tale contesto morale e spirituale simile ad un magma vulcanico, parentesi e pause o squarci di serenità conquistata a fatica, e costituiti da vissuti relazionali con la natura medicatrice e con la memoria stessa, sublimata da dolore in speranza: occorre qui leggere le poesie in cui l’autrice non si rassegna alla perdita di alcuni cari, che crede fermamente di rivedere in futuro, in altre dimensioni di vita. È questa la valenza più coinvolgente e commovente della sua poetica, in quanto tocca corde e sentimenti che, al contatto con il suo canto, possono risvegliarsi in tutti noi dal sonno in cui li abbiamo relegati per non soffrire a nostra volta.

Tale tematica è evidente in diverse composizioni. Si può citare Sera come testo paradigmatico: “Il giorno in cui potrò venire lieta/ a te ritornerò quasi ansimante/ e sotto quel cipresso che tu ami// mi troverai seduta a piene mani;/ e lì m’accoglierai con un sorriso,/ la luce brillerà sulla mia ombra// e parleremo ancor tutta la sera/ nascosti dal chiarore della notte./ Ma ora silenzioso tace il cuore// neppure sento aliti di vento/ acceso e spento il sole che ormai muore/ qui resto, né un conforto, né un colore”. Si realizza qui quella “corrispondenza di amorosi sensi” tra i vivi e i morti di foscoliana memoria, ma non solo, la poetessa esprime quella speranza cristiana del ricongiungimento con i propri cari nella dimensione della vita eterna. Sera è anche un modello formale di poesia classica: quattro terzine di immagini limpide, armoniose, dove vi è un equilibrio perfetto tra linguaggio e valenza semantica, tra fonetica e misura della parola. A Sera si possono accostare Sorrisi (“sanno ridere i nostri cuori”); il racconto fantastico contenuto ne Il lago, una sinfonia dell’infanzia, della giovinezza e della lancinante perdita di un sogno: “Da allora quanti anni son trascorsi?/ Troppi, senza di lui, e troppo pochi/ per lenire in qualche modo il dolore/ che turba dentro come una tempesta…”; Il bosco, struggente rimembranza del padre: Tu non ci sei, mi manca la tua mano/ che conduceva ogni mio passo lontano…” e Lalbero, la presenza-assenza del padre.

La Natura entra prepotentemente nella poetica dell’autrice con affinità sensitive di tipo pascoliano-dannunziano, versi onomatopeici, il segreto della pioggia-pianto (Non piace); con le rime studiate (alternanza a-c / b-d) delle sei quartine de Il canto del cuculo, un inno al lavoro nei campi dai modi pascoliani; con la delicata sensibilità rivolta alle effimere ma leggiadre creature che sono le farfalle (Vanessa cardui, Odette); con il canto alla Mietitrebbia, attaccamento alla vita agreste ormai perduta e con la leopardiana Nostalgia, tale perché rievoca la poesia di borgo cara al recanatese: qui è Meldola (“madre e matrona”), il paese natale, ad essere cantato, le vie, le piazze, la gente, le donne, i bambini, le lucciole e la “cara luna della sera”. … Poi il lettore saprà scoprire da sé le altre perle dell’anima della poetessa. Per quanto riguarda la pittura colpiscono gli occhi lucenti, profondi e gli sguardi indecifrabili, interroganti degli autoritratti; la tecnica praticamente perfetta nel dipingere i capelli delle figure femminili; i vividi colori della natura con le farfalle simbolo della leggerezza dell’essere; il pelo fulvo delle figure canine ritratto con maestria realistica…

Enzo Concardi

Daurija Campana, Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-41-7, mianoposta@gmail.com.

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