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Pasquale Ciboddo, Oltre il velo del Mondo, Guido Miano Editore, Milano 2025

Recensione di Enzo Concardi

Comunicato Stampa

Le trasformazioni sociali, economiche, culturali e i passaggi storici di civiltà, hanno sempre creato nel corso dei secoli epoche di transizione nelle quali erano presenti contemporaneamente i caratteri del mondo che stava tramontando e quelli della nuova società che stava avanzando. Così è stato, esemplificando, il tempo del Petrarca tra fine del Medio Evo ed avvento del Rinascimento: nelle opere del poeta e filologo aretino riconosciamo infatti la presenza di aneliti religiosi da un lato, e di studi linguistici ed espressioni poetiche tipiche dell’Umanesimo dall’altro. E così si è verificato anche più tardi – a cavallo tra Neoclassicismo e Romanticismo, tra fine Settecento e prima parte dell’Ottocento, secoli “l’un contro l’altro armati” (Manzoni) – periodo le cui istanze principali furono vissute in prima persona dal Foscolo, nel quale riconosciamo un’anima classicistica ed una romantica.

Possiamo senz’altro individuare anche nella nostra epoca una fase storica con i caratteri della transizione: è avvenuto il passaggio dalla civiltà contadina a quella industriale, tra il mondo della campagna agreste con le sue regole e suoi valori, e il mondo delle fabbriche, dell’inurbamento, dello sviluppo tentacolare della città e del consumismo. Ora, quel che è rimasto della prima viene considerato alla stregua di un passato arcaico, mentre lo strapotere della seconda – con suoi miti e modelli – sembra inarrestabile e irreversibile. Testimoni di ciò siamo tutti noi delle generazioni cresciute soprattutto nel Novecento, come il poeta sardo Pasquale Ciboddo, il quale nel suo ultimo libro – Oltre il velo del mondo (Collana di testi letterari “Alcyone 2000”, Casa Editrice Guido Miano, Milano, agosto 2025, prefazione di Michele Miano) – dedica gran parte delle sue liriche a riflessioni e giudizi sull’argomento, schierandosi tuttavia completamente dalla parte di ciò che fu, non accogliendo praticamente nulla del “progresso” avvenuto, per lui, evidentemente, una regressione culturale, di valori, umana, sociale. Il libro è corredato da diversi disegni e altre fotografie in bianco e nero che illustrano gli ambienti e i momenti di vita rimasti indelebili nella sua memoria. Diciamo subito, a scanso di equivoci che, probabilmente, Ciboddo ha buone ragioni per rimpiangere il passato di fronte a determinate storture ed alienazioni di certo “progresso”, tuttavia il suo ‘integralismo’ penso non sia da molti accettato.

La nostalgia dell’autore si concentra sul mondo degli stazzi, microcosmo della Sardegna agreste e contadina, dove si svolgeva la vita ideale che egli ha conosciuto fin dall’infanzia e che poi ha perduto per l’abbandono dei suoi conterranei, migrati verso il continente alla ricerca di un favoleggiato benessere: con la fine di quella forte e radicata esperienza, vi è stato solo abbandono e solitudine, in contrasto con la comunità d’un tempo che voleva dire amicizia, solidarietà, legami familiari e affettivi. Leggiamo Corrimozzu: “Dal mio stazzo / Corrimozzu / volava la fantasia / dello spirito alato / verso orizzonti sereni / colorati e lontani. / Luogo di vita sana, / forte per la mia / adolescenza / coronata da compagnia / di giochi di bimbi. / Non sarà mai dimenticata / sino alla morte”. Ed anche Era certo: “Oggi la città / consuma la vita umana. / Era certo il romanzo, / la poesia della mia esperienza / vissuta in campagna / negli stazzi della Gallura / ad avere l’esistenza / un vero senso”. Ecco emergere il classico contrasto città-campagna, comune in molte regioni del pianeta. Fanno da corolla a questo tema di fondo altri motivi fonte d’ispirazione e denuncia nel canto di Ciboddo: lo scandalo di popoli e diritti calpestati; l’apologia della terra di Sardegna, ovvero l’attaccamento alle sue radici; l’essere estirpato, così che siamo diventati rami senza frutti; l’attenzione alle piccole creature della terra; la II Guerra Mondiale vissuta da solo negli stazzi; la solitudine del dopo pandemia; la necessità dell’educazione nelle nuove generazioni; esorcizzare l’odio per vivere l’amore e la fiducia nella Provvidenza.

Oltre a tutto questo mi pare importante cogliere nel poeta sardo ciò che Michele Miano ha ben

esposto nella prefazione: “In un mondo che corre senza sosta, dove il progresso spesso brucia i ponti verso ciò che è essenziale, questa raccolta è un invito a tornare all’origine del sentire. Oltre il velo del Mondo nasce dal desiderio di dare voce a ciò che non urla, ma vibra nel cuore: l’amore che resiste al tempo, la fede che non chiede prove, la spiritualità che si nutre di gesti semplici, la fiducia che si rinnova nonostante tutto”.

Vale a dire non perdiamoci nell’artificiosità di un mondo reificato.

Enzo Concardi




Pasquale Ciboddo, Oltre il velo del mondo, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 86, isbn 979-12-81351-53-0, mianoposta@gmail.com.

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